euganeinews
in rete dal 1996

Volo

1846, di Guglielmo STEFANI

GEMMOLA

Correvano i tempi calamitosi d’Innocenzo III papa e di Federigo imperatore e re, allorquando da Azzo VIII, marchese d’Este, figliuolo di Obizo e da Leonora figlia di Tomaso III, conte di Savoia, naque Beatrice d’Este (1206).

Ancora bambina, orbata della madre, ebbe a matrigna Marchesella, figlia di Adelardo della Marca di Ancona. Venuto a morte anche il padre (1212), valoroso difensore della libertà italiana, orò molto e pianse, indossò il corruccio, e così di rozze lane vestita, volle starsene tutti gli anni primi della sua infanzia fra stenti e preghiere. Mentre le altre compagne correvano nei prati dietro alle farfalle o a cogliere margherite, si compiaceva ella nel servire i malati, nel dar pane ai poverelli, sprezzando i giochi, le danze e le altre vanità giovanili. Aldobrandino, reggitore della famiglia, moriva frattanto di veleno in Ancona; a lui successo Azzo, fratello minore, destinava Beatrice, fatta grandicella, in maritaggio a qualche principe d’Italia. Ma la pia giovinetta teneva il monastero come porto più sicuro, e innamorata della vita del chiostro formava in cuor suo pensiero di farsi monaca, e dedicare tutta la sua vita al Signore.

Il castello paterno offeriva troppo frequenti occasioni di feste e bagordi; era un andirivieni di principi, di cavalieri; non si parlava d’altro che di caccie e tornei, di balli e di nozze; cose tutte che all’animo di Beatrice mettean repugnanza. Alla vecchia zia, confidente de’ suoi pensieri, aprì tosto il cuor suo, e col consiglio di frate Giordano Forzatè e di Don Alberto, priore del Monte delle Vigne, concertò la fuga dalla casa natale, protetta dalle lance del capitano Michele, governatore di Monselice, deliberata di ritirarsi nel vicino convento di santa Margherita di Salarola.

Era una notte limpida e serena; e le stelle, narrano i cronisti, accrescevano il lume per accompagnare la pia donzella al luogo santo. Voltasi indietro benediceva piangendo ai palazzi paterni che abbandonava, e alle terre de’ suoi sudditi, finché giunta sull’albeggiare al piccolo colle di Salarola, sul cui dorso era il monastero di santa Margherita, fu incontrata dalla badessa e da alquante monache che correvano ad abbracciare la nuova sorella, la quale nel giorno istesso, spogliata degli abiti secolari e rase le chiome dorate, col viso raggiante di gioia e l’animo rapito di celestiale dolcezza, vestì le nere lane della religione di san Benedetto.

Frattanto diffusa nella corte di Azzo la voce della fuga della principessa Beatrice s’accese lo sdegno fraterno, e con una mano di soldati correva già verso il monastero e voleva abbatterne le porte; se non che per via fattosi più mite, incontrò con placato animo la presenza della badessa e dei due frati che gli annunziarono in nome del Signore la vestizione di Beatrice. Deposte le armi e mutato lo sdegno in allegrezza, festeggiarono tutti l’elezione della nuova suora con cantici di esultanza ed inni divoti. - Come la vita del chiostro paresse bella all’anima di Beatrice, ognuno sel pensi. Una ristretta cella era la superba sua reggia - poche erbe le servivano di cibo, un ruvido saio teneva luogo degli abbigliamenti e delle gemme ducali. Eppure quante regnanti di questa terra, a cui la corona fu un peso e il trono un eculeo, non avrebbero mutate le sorti colla povera suora Beatrice!

Così passava un anno. Ma le vicinanze delle popolate rocche di Calaone e di Cero, castelli del fratel suo munitissimi, il suono delle trombe e dei tamburi, le voci delle soldatesche sfrenate molestavano la vita contemplativa di quelle vergini e ne sturbavano la solitudine. Mosse Beatrice querela ad Azzo che portò subito il pensiero ad altro sito, ove fondare un più tranquillo ricovero, lontano dalle orgie dei castellani e dei militi.

Quasi piccola gemma tra i colli, a mezzodì del Venda, lontana da Este tre miglia, ricca di vigneti e di ulivi, circondata da prati, è Gemmola. Sul suo dorso erano allora le rovine abbandonate d’un convento di monaci; Azzo in breve tempo ristorò la chiesa deserta, serrò di mura l’ampliato monastero, sterpò gli spini cresciuti negli orti, quali rese a coltura; quindi con molta pompa e seguito di dame e d’illustri prelati, inalberata la croce, processionalmente accompagnò la sorella con dieci monache da quello di Salarola nel nuovo monastero di Gemmola, dotato di giurisdizione e proventi.

Soggetta sempre all’obedienza delle badesse, Beatrice non volle mai sulla comunità primeggiare: ma questo mondo non era per essa che un breve esilio; si sentiva fatta per un etere più puro di questo; il so corpo macilento e disfatto, il so viso pallido, gli occhi infossati ed immobili designavano che un tremendo malore le rodeva la vita. Pia, rassegnata, a vent’anni, come visse morì nell’amplesso del Signore. Il suo corpo, olezzante di aromi e di fiori, riposto con molta solennità di esequie entro un’arca di pietra, nel piccolo oratorio di san Giovanni Battista, contiguo alla chiesa, restò in Gemmola, onorato di culto, fino al 1578. In quel tempo Federico Cornaro, vescovo di Padova, pensò dal colle di Gemmola, troppo esposto alle incursioni dei fuorusciti che infestavano le terre vicine, di ridurre le monache in città, e vennero in santa Sofia. Il corpo di Beatrice fu riposto nella cappelletta vicina alla sacristia ove dorme, venerato, tuttora.

In Gemmola e in tutti i colli la memoria della pia suora non venne mai meno; la sua vita diede argomento a erudite dissertazioni e a voluminose leggende; dei panni delle sue vesti si fecer reliquie. Non v’era povera donna che avesse malato il suo bimbo, non vecchia madre che piangesse il figliuolo lontano fra l’armi, o villano che al minacciare della tempesta non ricorresse alla Beata e non ne avesse un prodigio. Narrano come nel 1500 assediata Padova, e tutta la campagna essendo in preda al furore delle bande spagnole, fuggissero trepidanti le monache da Gemmola nella vicina Este. Una sola, vecchia, inferma, rimasta indietro smarrita fra campi per non aver palesato ad alcuni malandrini ove si nascondesse l’argento del monistero, fu messa viva nel forno del convento, ma invocata la nostra santa, le legne non arsero, e rimasta colà rinchiusa tre giorni e tre notti al di lei gemito accorsero alcuni campagnuoli e la trassero illesa.

Il monastero di Gemmola restò sotto il patronato dei principi Estensi assai tempo. Ancora nel 1472 Ercole, duca di Modena, domandava la conferma al vescovo di Padova dell’eletta badessa. In seguito fu venduto quel luogo a un mercatante di lana veneto, Domenico Filoso - Nel 1650 il Tommasini, che descrisse la vita della beata Beatrice con inschietta semplicità, trovò la chiesa cadente; i quattro altari con tre imagini di santi tutte consumate dal tempo; presso l’altare maggiore il confessionale con le grate di ferro nel muro spezzate; due sepolture aperte, il coro senza sedie; nell’oratorio vicino conobbe il sito ov’era infissa l’arca della Beata; nel monastero rovinoso una piccola cella in piedi, forse quella ove morì; in una delle camere delle pitture rozze, raffiguranti la Madonna, san Giovanni, san Benedetto e la beata Beatrice; una bella cisterna e la cantina conservata ad uso dei fittaiuoli del luogo -

Ora il santuario è deserto, e non trovi un contadino, non una pia donna che ti mostri i luoghi testimonii un giorno di tanta virtù.

Guglielmo STEFANI

Da: Strenna dei Colli Euganei (1846, a cura degli editori del «Giornale Euganeo» J. Crescini, G. Stefani – ripresa in I Colli Euganei (Bologna 1978, Riedizione anastatica, Atesa Editrice).

È qui che venne a ritirarsi (1221) e morire (10 maggio 1226) la Beata Beatrice I, figlia di Azzo VI e di Sofia di Savoia. Si sarebbe ritirata qui anche la Beata Beatrice II sua nipote regina d'Ungheria, dopo la morte del marito. Il convento preesisteva alla venuta della prima Beatrice, edificato da certo Martino, milanese, e durò fino al 1578, anno in cui per ordine del vescovo Cornaro fu soppresso e allora un piccolo corteo salmodiante portò la cassa della santa giù a Este, poscia a Padova nella chiesa di Santa Sofia, dove rimase fino al 5 maggio 1957, quando, con grande solennità, è stato riportato a Este e collocato, entro apposita urna, nel secondo altare del Duomo Abbaziale di Santa Tecla. Nell'oratorio di S. Giovanni Battista riedificato nel 1657 dal veneziano Francesco Roberti una pietra con stemma ricorda la madre badessa Maddalena De Zaccaroli (1510).
Ora il convento di Gemmola, trasformato in abitazione privata, e passato attraverso varie proprietà, è stato acquistato, con i terreni circostanti, dal Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei, ed avrà pubblica destinazione.

Callegari, AdolfoGuida dei Colli Euganei (1931, 1963, 1973)

Torna su

 

Volo