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Volo Viaggio nella storia

1846, di Carlo LEONI

LA ROCCA DI PENDICE E TEOLO

I

A dieci miglia da Padova su quella vaga catena di colli stà la pittoresca rocca di Pendice. - Si ergeva essa e s’erge tuttora, benché mezzo diruta, sullo scheggioso ciglione d’un ertissimo scoglio a picco, che si profonda fino al basso della valle; ond’ebbe latinamente il nome.

È celebre ne’ padovani ricordi, sì per memoria di virtù guerriere, sì quale asilo di domestiche tradizioni. Memorata innanzi al mille sembra fosse eretta a ricovero di rabbie feudali, e nell’undecimo secolo data a reddito de’ vescovi della città.

Ma sorte le republiche, franta la tirannia de’ feudi, fiaccato il furor de’ lontani passò a comunale dominio. Onde l’anno 1165, Pagano vicario imperiale mandato a reggere o meglio a tiranneggiar Padova in nome del Barbarossa, ivi trasse e rinchiuse la rapita Speronella. - Fu allora che i Padovani di valore più che di ferro armati, si levarono a furiosa vendetta, e corsi colà, assediata la rocca e distrutta, lui vinto, spensero l’insopportabile giogo.

“Ciò che diede una delle maggiori spinte alla lega vulgo lombarda si furono le vessationi e crudeltà di Pagano vicario imperiale di Padova messo da Federico I al di lei governo; et più d’ogni altra nequitia, che fu poi l’ultima, si fu il rapimento della vergine Speronella dei Delesmani, figlia di Uberto e di Mabilia di Rolando. La quale figlia siccome di nobilissimo antico e potentissimo casato, era pure di costumi santissimi et irreprensibili (al che in vero altri cronisti, anzi i più, contradicono); la quale dal crudel vicario rapita fraudolenter la trasse et serrò nella sua rocca detta di Pendice, et ivi la tenne a sua disposizione calpestando i più sacri doveri dì religione et umanità. Ma saputa appena tale nefandità, il fratello di lei Delesmanino, Jacopo di Carrara ambedue prodi cavalieri, et questo suo promesso, nonché il potente Alberto da Baone, riuniti con molti altri, tra’ quali Roberto da Ponte, Manfredo da Camposampiero, Alessandro Dottori e Rambaldo Collalto, istigarono il popolo che malcontento viveva sotto quel triste signore, affinché nel giorno della festa dei fiori a’ 23 di giugno dell’anno di nostro Signore 1165 scuotendo quel giogo si ribellò, et assai ne uccise di quelli, et non trovando il tiranno, il susseguente giorno andarono ad assediare la rocca ove s’era rifuggito, poi trovata nel sotterraneo Speronella la condussero con grande letitia nella città et creati nuovi consoli ritornarono alla primiera libertà (1)„.

Pendice ricostrutta dalla republica fa tremenda prigione di stato; e nel 1320 Bassano da un lato, e Pendice dall’altro bastarono a spezzare le furie e l’armi di quel Cane, che, a sbramarsi di terra e di peltro, si recò in potestà tutte l’altre castella che al paro di quelle obbedivano alla signoria de’ Padovani (2).

Ristorata dai Carraresi, cinta di doppie mura, nel 1337 valse a ributtare quelle barbare torme che misero a fuoco e a sangue Padova e il pedemonte.

Jacopo II da Carrara a francarsi dall’emulo, scannato il cugino Marsilio, sgombratasi la via al soglio, serrò in quel forte Jacopino Papafava col figlio (1345). Ma Guglielmo da Carrara, bastardo di Jacopo il Grande, vendicò quel parricidio colla morte dell’uccisore. La cui memoria, siccome d’uomo copioso e magnanimo, fu da Petrarca fatta eterna e lacrimabile.

Tale la storia di Pendice alla metà di quell’evo dramma di ruine e di rinnovamento, caos di libertà e di schiavitù, di lotta e di armonia; maraviglioso apogeo di nazionale possanza; secoli preparatori di un mondo, ove fortemente operò il genio italiano; età del merito sconosciuto che rivocata ogni potenza umana, fu sublime dimostrazione della energia e grandezza di un popolo.

Scoronata e spenta dal ferro dei Veneti la carrarese famiglia, il sasso di Pendice obliato dagli uomini cadde in ruine; sennonché di mezzo a’ suoi ruderi, mostra ancora le impronte dell’antica terribilità... e ricorda come di là movesse quell’ira che composta in sacramento esalò a Pontida, vinse a Legnano.

(1) Manoscritti del Costantini nella Biblioteca Piazza.
(2) Barbieri.

II

Prossimo a Pendice, sulla china del monte della Madonna in mezzo a’ vigneti di saporosissime uve (le quali ove soccorresse l’industria frutterebbero vini pari, se non migliori a qualsiasi straniero) sorge Teolo, un tempo Vicariato, ora Distretto.

Gli eruditi ne traggono la etimologia da titulus, perché ivi risiedeva un magistrato con titolo al governo dei colli euganei; ed altri vogliono Theolo loco degli Dei perché ripieno d’idoli un tempo. Solite incertezze archeologiche. - Danderlino oratore e Vierio Valeriano celebrarono le lodi di questa deliziosa contrada salutata da molti qual patria di T. Livio, benché più ragionevoli argomenti dieno tal gloria alla non lontana e più famosa ed antica Abano.

Teolo diede i natali a tre illustri, Paolo, il mentovato Vierio giureconsulti. nonché il recente Felice Dianin, elettissima penna che avrebbe potuto aspirare ad una celebrità ben più che municipale. Presso la chiesa di Teolo, non sono molti anni, fu rinvenuta un’iscrizione romana che conta dicianove secoli, posta per segnare i limiti del territorio padovano coll’estense; e la cui illustrazione sarà fatta chiara dall’Opera archeologica del nostro benemerito Furlanetto, che molto speriamo non istarà ad apparire.

Da: Strenna dei Colli Euganei (1846, a cura degli editori del «Giornale Euganeo» J. Crescini, G. Stefani – ripresa in I Colli Euganei (Bologna 1978, Riedizione anastatica, Atesa Editrice).

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